VINCE CHI IMPARA

La Storia

La parola che viene prima di tutte le altre per definire la mia storia in spalla è amicizia.

Antonio Monizzi

Un po’ di me
Antonio Monizzi, ho 52 anni e ho deciso che prima di fare voglio filosofare. Sono un uomo in cerca di meraviglia, dello stupore che si manifesta nell’osservare le cose da prospettive diverse. Scelgo di vivere ogni giorno di convinzioni e non di certezze incrollabili.

Caro Vincenzo, per me la mia borsa in spalla ha un senso importante, è un po’ un piccolo traguardo, nei suoi confini un punto di arrivo, perciò ho deciso di raccontarti e di  raccontare come è nata e da dove è partita.

La parola che viene prima di tutte le altre per definire la mia scelta è amicizia, la considero una parola fondamentale in generale e decisiva in questo caso.

Mi riferisco prima all’amicizia con Jepis e poi a quella con te, che si sono susseguite come con una specie di effetto domino.

A voi due mi legano tante cose, i punti di incontro intellettuali per esempio, come delle corde che risuonano alla stessa maniera, mi verrebbe da dire anche delle passioni.

Penso che l’elemento di incontro, la zona di intersezione dove più spesso ci incontriamo sia la filosofia.

Ho sentito in molti tuoi discorsi un termine che penso che dovremmo diffondere molto di più, Weltanschauung, intesa come concezione del mondo, della vita, come posizione che nella vita e nel mondo occupiamo noi umani.

Dentro questo percorso, a un certo punto mi sono trovato di fronte a un’idea di Jepis che hai fatta tua, Scritte.

Ora tu capisci che a una persona appassionata di storia, di letteratura, di lettere, di parole, una cosa che si chiama “Scritte” non poteva che prenderla in pieno, come un diretto alla mascella in un incontro di boxe.

Da qui è nata questa voglia forte di esserci, di essere e sentirmi parte anche io di questo progetto, di questa storia.

Per la verità all’inizio questa storia doveva stare sulle scarpe, inizialmente avevo chiamato Jepis e gli avevo detto “dai, guarda, voglio camminare anche io con una storia”. Poi invece ragionando, chiacchierandoci su con lui, scoprendo di più di questo progetto, mi è sembrato di indossare meglio la storia in spalla che non quella che cammina.

A un certo punto mi sono detto “perché no?” e così mi sono divertito, te lo confesso, a usare questa borsa come un topos, è in questo senso che dico che per me è stato fondamentale, perché mi ha permesso di fissare alcuni concetti, di far uscir fuori qualcosa che avevo bisogno venisse fuori.

È stato un po’ come una epifania, altra parola che mi piace molto, come una illuminazione, e mi sono messo a scrivere di getto quello che secondo me doveva stare sulle mie spalle, la storia giusta.

E in questa mia storia ci sono un sacco di punti di incontro con Jepis e te, caro Vincenzo. Prendiamo per esempio la chiocciola. La chiocciola per me è tante cose.

È casa, è portarsi dietro casa, siamo stati con i miei genitori camperisti per tanti anni, e ci portavamo quasi letteralmente  dietro la casa. Però la chiocciola come sappiamo è anche il simbolo della modernità, “at”, @, sta alla base della comunicazione contemporanea, tiene insieme due mondi che impropriamente continuiamo a definire reale e virtuale mentre in realtà il virtuale è reale, la nostra amicizia ne è un esempio paradigmatico. Noi due abbiamo creato un’amicizia vera, penso di poterla definire in questo modo, senza esserci ancora mai incontrati e abbracciati; possiamo per questa definirla virtuale? Io dico di no, perché non la sento virtuale per niente questa nostra amicizia, la sento reale, forte, intensa come quella che mi lega agli amici più cari.

Ecco, la chiocciola come punto di incontro e di scambio, un po’ come gli hub degli aeroporti internazionali, è un altro significato a cui tendo molto.

Penso qui all’incontro e allo scambio con Jepis, come gli ho detto alla prima occasione intendo farmi accompagnare dall’artigiano che ha realizzato la chiocciola e farmene fare una per me, perché è troppo bella.

E che dire del fatto che amo scrivere il mio nome, Antonio, utilizzando come A la @, la chiocciola, proprio come ha sottolineare questo aspetto dell’interazione? 
Ma non non finisce qui, amico mio, c’è ancora un’altra cosa che ti devo dire, in relazione all’animale chiocciola questa volta, e alla sua lentezza.

Sono per la riscoperta della lentezza, un libro che farei leggere a tutti è “La lentezza” di Milan Kundera. Trovo che sia un bellissimo, che ci dice “addò jate?”, dove andate, dove correte, dove vi sfracellate.

Personalmente trovo che ci sia un fraintendimento generale sull’accezione di “carpe diem”, che non vuol dire vivi freneticamente, vuol dire vivi fino in fondo, senti il sapore delle cose che fai, fermati a riflettere, fermati a guardare gli altri aspetti della realtà in cui sei calato, accorgiti del mondo che ti circonda.

Ti voglio raccontare un altro pezzetto di me, un pezzo per me assai importante, una parte che non ti ho mai raccontato, un regalo che tengo per gli amici più cari, che ha per protagonista mio padre, che per me è un punto di riferimento, un uomo che mi ha insegnato tantissimo, lui e mia mamma sono due persone che per me continuano a essere fondamentali anche adesso che ho 52 anni, non a caso ho scelto a un certo punto della mia vita di tornare, per così dire, alla base.

Vedi, io ho avuto una malattia da piccolo, molti pensano che una parte del mio viso sia come la vedi per una bruciatura o un’altra cosa di questo tipo, invece no, praticamente sono nato così o comunque tutto è avvenuto poco dopo la nascita.

Sono cresciuto con qualche problema, avevo questo fatto del viso,  questo angioma che mi creava molti problemi, peraltro ero persino più brutto di come sono adesso, dai, mo’ sono quasi carino. Mio papà mi ha raccontato che un giorno di tantissimi anni fa, ero troppo piccolo per ricordarmelo da me, che come tutti i genitori che hanno dei figli con dei problemi anche lui si è domandato se dovesse lasciarmi andare a giocare con gli altri bambini, altri bambini che mi volevano con loro, oppure no. “Che faccio”, questa più o meno la domanda, “me lo tengo qua e lo proteggo, o lascio andare, non solo metaforicamente, a prendersi gli schiaffi della vita?”.

Ora tu capisci bene Vincenzo che mio padre ha fatto la seconda scelta, mi ha lasciato andare, altrimenti oggi non starei qui a raccontarmi, a raccontare questa mia vita in cui ho anche tanto remato contro, in cui sono andato, come diceva il grande Faber, in direzione ostinata e contraria, direi che è stata questa una componente molto importante della mia vita.

Ecco, anche in questo senso la chiocciola è importante, per me la chiocciola è la scelta di andare verso il mondo, nonostante tutte le difficoltà.

È con tutto questo alle spalle che “Vince chi impara” è diventato il mio manifesto.

Non è vince chi sa, o vince chi ci crede e neanche vincere e basta, il mio è un manifesto che ha al suo interno una parola, vincere, con la quale devo ancora fare i conti, con la quale voglio fare i conti io e vorrei che gli altri facessero i conti.

Vedi Vincenzo, vincere è una di quelle parole estranianti, mentre io la intendo come volontà di affermare se stessi fino in fondo, facendo i conti con sé stessi e con il mondo che viviamo.

Per me vince chi impara vuol dire anche fare questo che stiamo facendo noi, conversare, filosofare, comprendere che il viaggio dell’apprendimento è sostituire i punti esclamativi con i punti interrogativi, le certezze con le domande.
Vincenzo, lo sai come me, è una fatica pazzesca, ma ne vale la pena.