CURATRICI E CUSTODI

La Storia

Questa storia è dedicata alle donne curatrici, alle donne che lavorano, alle donne custodi.  

Giuseppina Guida

La storia che vogliamo raccontare mia madre e io è quella delle donne curatrici e custodi.

Da sempre abbiamo fatto del viaggio il nostro mood familiare, Caselle in Pittari è una delle tappe di arrivo, o anche di partenza, chissà. Quello che vogliamo dire è che sentiamo come nostro dovere la possibilità di perpetuare salute, come donne, come madri e come esseri senzienti.

Per certi aspetti la nostra famiglia non è normale, nel senso che non è di quelle tipiche, siamo cittadini del mondo non casellesi, anche se ormai lo siamo diventati.

Mio padre viene da Celle di Bulgheria e mia madre da Tortorella e hanno dato a me e a mia sorella la possibilità di essere fiori anche senza radici e quindi tutto sommato felici, proprio come nella canzone degli Almamegretta, ‘O sciore cchiù felice.

Il nonno bulgaro/napoletano era allevatore di capre e fu quasi deportato dai tedeschi; naufragato e arrivato a Corfù, si è sposato con nonna Giuseppina, che era una contadina orfana di madre e viveva con la matrigna.

Il nonno di Tortorella emigrò a Santo Domingo a 7 anni, si è sposato con una donna, mia nonna, multitasking, nel senso che curava vigna, figli, asino e varie.

Noi abbiamo vissuto a Sapri e poi ci siamo stanziati qui a Cip per la farmacia, o meglio, all’inizio io pensavo fosse per quello, poi negli anni penso di aver capito la vera ragione: Caselle è un crocevia inconsapevole di culture, tradizioni e stratificazioni genetiche, c’è sempre da imparare, non ti annoia mai.

A Caselle si arriva, a Caselle si resta, da Caselle si parte.

La mia natura acquariana mi porta a estremizzare tutto e a empatizzare con tutto, mia mamma scorpione con ascendente bilancia mi riporta costantemente con i piedi per terra, in pratica a 35 anni il ruolo di mulier a casa e sul lavoro lo sto ancora tassellando.

Caselle ha avuto molte mulieres, vammane o levatrici di cui si tende a non parlare; parla però per loro la capacità di guidare motozappa e mezzi agromeccanici e/o furgonati che le donne hanno tutt’ora in dotazione.

Spero di essere stata chiara, ma fondamentalmente è questo il senso della storia. Mio padre, quando inserì il Cilento nella rete mondiale dei geoparchi, propose che si creassero dei “care giver” del territorio, e questa parola in tempo di covid consente ai conviventi di un anziano di ricevere il vaccino per proteggerlo.

Questa parola è in inglese e non si traduce in italiano ma ci dice che siamo donne e uomini d’amore e custodiamo.

Questa storia cammina perché custodire vuol dire portare con sé ovunque, assorbire da qualsiasi luogo, imparare da qualsiasi persona, far proprie nel tempo le conoscenze utili alla salute migliorandone l’efficacia con l’esperienza e la conoscenza tecnica.
Per la salute il tempo è tutto, e il tempo che fa? Tempus Fugit, cammina veloce, fugge, corre, comunque cammina.
Noi camminiamo per custodire. Dobbiamo farlo ed è un piacere farlo.

Anche se il dialetto di Celle non è come quello di Tortorella e quello di Tortorelle non come quello di Caselle ci sono alcune espressioni identiche, tra le quali per l’appunto “camina”.

Camina si dice quando bisogna darsi una mossa perché si va di fretta.
Camina si dice per sdrammatizzare quando te la prendi troppo.
Camina si dice per far capire che ancora di strada da fare ce ne sta.

Si cammina sulla Terra e grazie alla Terra e dalla Terra abbiamo tutto quello che ci serve, compreso cibo e medicamenti.
Ma la Terra? È madre, dunque anch’essa mulier.

CUSTODIT VITAM QUI CUSTODIT SANITATEM